Gentile Presidenza del Consiglio
Scrivo questa lettera nel tentativo di dare un mio piccolo contributo ad un tematica così importante. La riforma del lavoro.
Premetto che:
1)Sono un dipendente a tempo indeterminato, un quadro aziendale in una multinazionale informatica, uno degli intoccabili additati come i responsabili dell’attuale blocco occupazionale che avrebbero tutto da perdere e nulla da guadagnare da una riforma liberista del mercato del lavoro (premessa fondamentale in un paese dove tutti sono bravi a fare i riformisti con il didietro degli altri).
2) Sono assolutamente favorevole all’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori perché avverto la necessità di uno salto di qualità nella nostra sistema produttivo.
Fatte queste premesse, dopo aver analizzato non senza fatica la proposta di legge cosiddetta del “JOB ACT”, non posso che esprimere tutta la mia contrarietà per una legge che a mio avviso non tutelerà i lavoratori da licenziamenti ingiusti ne aiuterà le aziende a compiere quel salto di qualità richiesto da un mercato ormai globale ma rischia anzi di alimentarne il clientelismo e la corruzione interna fino a mettere a repentaglio l’esistenza stessa delle aziende.
L’articolo 18 infatti non è stato solo un meccanismo di protezione dei lavoratori dagli abusi ma ha anche impedito che l’arma del licenziamento potesse essere utilizzata per aumentare il clientelismo e la corruzione interna.
Da qui la mia proposta di una nuova legge che garantisca la libertà di licenziamento solo per le aziende STRUTTURATE, cioè le aziende che mantengono al loro interno quelle condizioni per le quali il licenziamento non avviene ne per discriminazione verso il lavoratore ne per favorire le clientele e corruzione.
Ma come si fa a dire che un’azienda è STRUTTURATA?
Ecco alcuni criteri OGGETTIVI che la definiscono e la spiegazione della loro necessità:
1) I dirigenti e i loro parenti di primo grado non devono avere alcuna partecipazione ne diretta ne indiretta nelle società che forniscono prodotti e servizi all’azienda in cui lavorano.
Motivazione: in assenza di questa regola i manager delle aziende potrebbero essere tentati di liquidare interi pezzi di azienda licenziandone i componenti per sostituirli con fornitori esterni costituiti da società di proprietà loro o dei loro parenti. Non stupiamoci e non dimentichiamoci che siamo il paese europeo più corrotto d’Europa. Vedi nota sotto(*).
2) Parenti di primo grado non possono lavorare nella stessa azienda.
Motivazione: Idem come sopra anche se ad un livello meno businness e più personale: quale manager non sarebbe tentato di licenziare qualcuno per fare spazio al figlio, al parente, all’amico di lunga data in difficoltà? Non dimentichiamoci che siamo un popolo di poeti e navigatori ma innanzitutto un popolo di figli, cugini, nipoti e cognati.. Inoltre con la possibilità di licenziare viene meno anche la necessità di trovare referenze in circuiti familiari: se uno non lavora viene licenziato punto e basta.
3) Il quadro dirigente è composto almeno dal 30% da donne.
In assenza di un contro potere femminile nelle aziende si rischia di generare una cultura machista nella quale tanti Don Rodrigo potrebbero agire indisturbati alla caccia di tante Lucie in molti casi molto più indifese della protagonista dei Promessi Sposi. Questa prospettiva dovrebbe spaventarci più come padri di famiglia che come lavoratori: pensiamo a tante ragazze che dopo un lungo periodo passato tra precariato, contratti a termine , co.co.co etc che riescono finalmente a farsi assumere con un contratto a tempo indeterminato e si trova di fronte il loro Don Rodrigo. Chi le difenderà?. Il governo che dice che vigilerà sui soprusi? Cerchiamo di essere realisti.
In assenza di questo contro potere per le aziende una prospettiva di degenerazione morale che peserà come un macigno sul clima aziendale e nei rapporti interpersonali finendo per incidere sul sistema dei meriti e sulla produttività.
3) L’età massima per un dirigente o per chiunque abbia una funzione decisionale è di 65 anni.
Motivazione: un ricambio generazionale efficiente è indispensabile per impedire che si creino degli imperi personali che sono dannosi sia alle aziende sia ai lavoratori.
4) Per ogni lavoratore sono previste un numero di ore di aggiornamento professionale non inferiore al 3% del monte ore annuo lavorato complessivo.
Motivazione: dal momento in cui un lavoratore può essere licenziato perché professionalmente superato deve essergli stata data la possibilità di aggiornarsi professionalmente.
5) L’azienda promuove attivamente campagne interne di protezione della diversità sessuale e contro la discriminazione dei sessualmente diversi.
Spiegazione quando circa un anno fa l’azienda americana multinazionale per cui lavoro ha indetto una giornata interna stile “gay pride” incoraggiando i dipendenti sessualmente diversi a fare outing la cosa aveva destato il mio stupore. Me ero chiesto “che c’entra questo con il lavoro?” Mi sembrava un’americanata. Ma stavo ragionando dentro la logica dell’articolo 18, che tutela tutti i lavoratori compresi i sessualmente diversi. Senza articolo 18 le cose cambiano completamente ed è chiaro che le persone sessualmente diverse possono diventare il più facile bersaglio di un licenziamento ingiusto. Da qui la necessità di tutelarle.
6) L’azienda promuove attivamente campagne interne di protezione della diversità etnica e contro la discriminazione razziali o religiose.
Motivazione: idem come sopra.
7) L’azienda annualmente promuove un’indagine interna nella quale il lavoratori sono chiamati ad esprimere un giudizio anonimo sull’azienda stessa e sul management.
Motivazione: questo tipo di indagini sono già utilizzate da molte aziende multinazionali per verificare che non si verifichino criticità nella relazione tra manager e sottoposti e per comprendere lo stato generale dell’azienda.
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E’ bene precisare che si tratta di criteri OGGETTIVI, ciò misurabili in maniera indipendente dal giudizio del singolo.
I punti da me sopra elencati sono ovviamente da discutere e rivedere con le controparti ma grosso modo riflettono pratiche e regole che sono già in vigore in grandi aziende multinazionali (come quella per cui lavoro).
Questo è fondamentale per centrare uno degli obiettivi dichiarati principali del ‘JOB ACT’: consentire alle aziende estere di venire ad investire nel nostro paese. Per molte ‘azienda multinazionali, cui le maggior parte delle regole sopra citate sono già di fatto in vigore internamente, sarebbe assolutamente naturale aderire a questo protocollo e quindi l’effetto di attirarle nel nostro paese sarebbe quasi immediato.
Situazione diversa per le imprese Italiane, molte a conduzione familiare per le quali si aprirebbero due strade: non aderire al protocollo e continuare come prima, articolo 18 compreso, oppure strutturarsi e aderire al protocollo ottenendo libertà di licenziamento.
La scelta dipenderebbe dagli imprenditori: non vi è nessuna intenzione da parte di chi scrive di dare lezioni di gestione aziendale ne moarli a nessuno (ci mancherebbe) e non è neanche detto che un’azienda strutturata faccia più utili di una non strutturata, semplicemente un’azienda non strutturata non può permettersi il lusso di licenziare al di fuori del quadro dell’articolo 18 mentre una strutturata potrebbe .
Concludo dicendo che l’adesione a questo protocollo è una sfida sia per i dipendenti, che dovrebbero sempre mantenersi all’altezza dei loro compiti pena il licenziamento, che per gli imprenditori e i manager che dovrebbero fare un salto qualitativo nella gestione dell’azienda uscendo da schemi nepotistici e clientelari.
Non posso parlare a nome degli altri lavoratori e men che meno degli imprenditori, parlo a titolo personale.: io sarei pronto ad accettare questa sfida.
E voi?
* Questa è esattamente l’accusa che è stata fatta al manager dell’Honda Di lorenzo
Paolo Marino