28 centimetri di pura tecnologia. Ecco cos’è Jibo, il “robot per la famiglia” così come recita il payoff aziendale. Questa versione tamagotchi di un robot è quanto di più possa avvicinarsi ad una intelligenza artificiale che possa esistere oggi. Questa estremizzazione del suo concept trova ragione nell’approccio dal quale Jibo è stato creato: un robot social. Cynthia Breazeal, la visionaria e creatrice di Jibo, da anni si occupa di indagare sull’impatto dei robot sociali e di come questi possano aiutare le persone di tutte le età a raggiungere piccoli e grandi obiettivi personali che contribuiscono alla qualità della vita in settori come le prestazioni fisiche, l’apprendimento, l’istruzione, la sanità, la comunicazione familiare e il gioco. Jibo è progettato per aiutare le famiglie a comunicare, coordinare e connettersi con i propri cari con maggiore facilità ed efficacia. E’ una sorta di assistente personale che può ricordare appuntamenti e compleanni, pur non potendo muoversi per casa, può roteare su stesso e seguire i movimenti delle persone che sono presenti in una stanza. Può scattare foto e video, leggere messaggi e inviarne a sua volta. Fare la spesa e chiamare la pizzeria.
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Anche se il suo occhione tenero, come verrà sicuramente definito, ricorda molto un noto HAL 9000 che di diverso aveva l’inquietante colore rosso, a sua “discolpa” è semplicemente un insieme di apparecchiature tecnologiche dotate di alcune app, che la Breazeal chiama Skills, in grado di rendere Jibo l’amabile robottino di casa. Tecnicamente ha installato al suo interno due fotocamere ad alta risoluzione, un microfono che cattura flussi audio a 360 gradi e interpreta il linguaggio colloquiale (solo in inglese per adesso), e, grazie ad un algoritmo di intelligenza artificiale, può assimilare gusti, preferenze ed abitudini dei componenti della famiglia e riconoscerne i volti. Il tutto in un modo molto naturale (si!, ho detto proprio naturale rivolgendomi ad una macchina. E’ incredibile!). Un display LCD touchscreen e la connettività Wi-Fi e Bluetooth ne completano l’elevata qualità in quanto macchina. Jibo è stato progettato per consentire anche a sviluppatori esterni di produrne migliorie e nuove skills o semplicemente per personalizzarne le funzioni e già in pre-order era (ormai tutto sold out) disponibile una versione con il pacchetto dati SDK che consente l’accesso a tutta la sua programmazione. La più grande innovazione credo sia, però, nel suo linguaggio. Qualcuno potrebbe dire che un pc, o un semplice smartphone, possono fare le stesse cose senza dover spendere ulteriori 599$, ma è l’interattività che stupisce. Che lo rende unico. E’ come dare un corpo a SIRI che però ti risponde in modo adeguato e ti guarda mentre lo fa. Jibo, infatti, rende la conversazione veritiera in un modo quasi troppo reale. Il Dr. Roberto Pieraccini, italiano, è il responsabile delle Conversational Technologies di Jibo, nonchè uno dei creatori del prototipo, al quale ho richiesto un’intervista esclusiva per comprendere meglio questa pecularietà di Jibo.
- Dr. Pieraccini lei nella sua carriera ha lavorato per IBM, i laboratori Bell, il CSELT, è CEO dell’ International Computer Science Institute ed uno degli esponenti di spicco nel riconoscimento vocale. Cosa rappresenta per lei Jibo?
Jibo e’ la realizzazione di un sogno per tutti noi che abbiamo lavorato nel campo del riconoscimento e comprensione della voce per decenni. Infatti, fino ad oggi, i sistemi di comprensione hanno usato solo il canale vocale, o magari un display (vd. Siri), mentre come ben sappiano, noi umani usiamo molti canali simultaneamente, quello visivo, il tatto, la gestualità. Ci voltiamo verso al persona che sta parlando, sia per catturare indizi visivi, sia per comprendere meglio il significato del messaggio, sia per far capire alla persona che parla che stiamo ascoltando. Non solo, ma noi essere umani riconosciamo la persona che sta parlando, sia dalla voce che dalle caratteristiche fisiche, e adattiamo il nostro sistema di comprensione a quella persona in particolare. Ecco, per la prima volta una macchina avra’ tutte queste capacita’. Quindi possiamo immaginare come tutto questo giovera’ alla qualita’ della comunicazione uomo-macchina.
- Il punto chiave di Jibo è proprio il suo linguaggio, il suo speech. Per noi è geneticamente possibile e l’esperienza fa il resto, ma come lo si elabora per una macchina?
Machine-learning. Oggi quasi tutti i sistemi di machine-learning utilizzano tecniche statistiche e algoritmi con una base matematica ben sviluppata che “imparano” a svolgere funzioni intelligenti da una quantita’ enorme di dati. Decenni di sperimentazione.
- So che lei ha partecipato sin dalla fase di prototipazione. Quanto tempo ha richiesto l’elaborazione?
Jibo e’ nata come startup un paio di anni fa, ed e’ rimasta nell’ombra fino alla campagna di Indiegogo la scorsa estate. La realizzazione del prototipo iniziale ha richiesto diversi mesi, con una evoluzione fino al prototipo finale alla fine 2014. Questo filmato fa vedere le varie fasi dell’evoluzione di Jibo. Il contributo mio e del mio team riguarda la parte vocale. Ovviamente tutti abbiamo fatto un po’ di tutto, anche saldare i circuiti e mettere assieme i pezzi.
- In 2 settimane il progetto ha raccolto in crowfunding 2,3 Mln di Dollari e ha venduto 4800 unità. Qual’è il futuro di Jibo?
Il futuro di Jibo è chiaro. Stiamo lavorando sodo e crescendo come azienda per portare Jibo verso la manifattura e renderlo disponibile ai consumatori e agli sviluppatori di applicazioni di tutto il mondo.
- E il suo futuro? Qual’è l’obiettivo finale del Dr. Pieraccini?
Ah! E chi lo sa? Non e’ bene avere un obiettivo finale, perche’ cosa faremo una volta raggiunto? Il mio obiettivo e’ quello di continuare a giocare, e non solo con i robot, ma anche con altre passioni, tipo la fotografia artistica, la scrittura, e la musica… Bisogna continuare a “giocare” per essere felici, no?
Parlando con il Dr. Pieraccini ho sentito sulla mia pelle la passione che bisogna avere nel proprio lavoro e quel pizzico di follia che deve essere insito in ognuno di noi per progettare e realizzare ciò che ancora non esiste. Magari avere anche il coraggio di farlo tenendo presente che tutto è possibile. Guardando Jibo, poi, dopo lo stupore iniziale e la domanda “ma è un giocattolo?” (che sicuramente tutti voi vi siete posti), resta un senso di divertimento e meraviglia. Un’innovazione stupefacente, un altro importante passo verso la tecnologia che potrebbe davvero aiutarci nella vita di tutti i giorni. Se esistono delle perplessità non sono da ricercarsi nella sua magnificenza o nel suo essere una macchina semi-senziente in grado di interagire con degli esseri umani, ma piuttosto nel suo far divenire inutile e superfluo anche una semplice telefonata o il raccontare una favola ad un figlio. Sta a noi trovare l’equilibrio, saper fare le scelte giuste evitando che tecnologie simili prendano il sopravvento sulla nostra umanità.
“Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”. Albert Einstein.
Be innovative!