Si calcola che in Italia ci siano venti milioni di smartphone.
Venti milioni di smartphone è uguale a dire venti milioni di telecamere pronte ad immortalare qualsiasi attimo della vita quotidiana per condividerlo sulla rete. Ma allora cosa succede quando si scatta una foto?
Più che nell’era del Grande Fratello benvenuti nella Grande Boccia dei Pesci Rossi dove tutto è visibile e dove ogni azione umana può essere ripresa, rivista e infinitamente diffusa sulla rete.
E’ un fenomeno di massa che permea qualsiasi attività umana, si infila nei luoghi più reconditi, penetra in santuari finora considerati inviolabili per offrirci istantanee che si è sempre cercato di nascondere. Entra con prepotenza nella vita di corporazioni ed istituzioni mostrando a tutti i panni sporchi che finora si erano sempre lavati in famiglia.
Gli ultimi arrivati in ordine cronologico ad accorgersi della portata di questo fenomeno sono le nostre forze dell’ordine, stupite che i loro comportamenti siano adesso filmati, discussi e criticati sulla rete, sui social, sui giornali.
Ma nemmeno la polizia può sfuggire alla sindrome della boccia dei pesci rossi, dove tutto è visibile e qualsiasi comportamento scorretto finisce in una infinita gallery fatta di maestre che prendono a schiaffi alunni discoli, di infermieri che legano al letto malati psichici, di impiegati comunali che fanno la spesa durante l’orario di lavoro, di vicini di casa che picchiano le mogli sul pianerottolo.
Non è stata ovviamente la tecnologia a cambiare il codice etico del popolo Italiano, cinquant’anni fa nessuno dei comportamenti sopra citati sarebbe stato minimamente censurato: è il livello morale del paese che è cambiato e gli smartphone sono diventati l’occhio vigile e onnipresente di una mutata coscienza collettiva.
Finiti anche loro sotto l’impietoso obiettivo i nostri tutori dell’ordine sembrano reagire disordinatamente, contestando questo o quel singolo fotogramma, lamentando che le immagini non possono essere decontestualizzate e usate come armi contro di loro.
A vedere bene quello che più spaventa non è la singola istantanea, ma la foto di gruppo di un corpo di polizia che nella sua concezione è stato ormai superato da cambiamenti rapidissimi avvenuti nella nostra società che ora stenta a muoversi nella giungla di flash di cellulari e che si sente accerchiato da un fuoco mediatico cui non sa rispondere.
Le responsabilità di questa situazione non sono certo da cercare in chi, ricordiamolo, rischia la propria vita ogni giorno per garantire la sicurezza di noi cittadini, ma nell’immobilismo di una classe politica che non ha saputo o voluto tracciare la nuova identità dell’operatore della sicurezza moderno: una figura di altissimo profilo professionale che insieme all’insegnante è uno dei cardini della nostra società civile.
Per rendersi conto di questo basti ricordare che cinquant’anni fa per diventare infermiere o poliziotto bastava la licenza media (la cosiddetta terza media): ora per il poliziotto il titolo di studio è lo stesso, per l’infermiere è richiesta minimo la laurea breve.
Nell’attesa che la classe politica si accorga di loro e decida un ammodernamento che non può più attendere e per uscire dall’angolo mediatico in cui sono finiti, alcuni poliziotti hanno fatto l’intelligente proposta di essere essi stessi dotati di telecamere per filmare le prodezze di coloro con i quali hanno spesso a che fare.
Non ci è dato sapere se la classe politica sarà in grado di recepire in tempo reale un così valido suggerimento, ma nel caso in cui ciò avvenisse ecco che il teppista che va alla manifestazione per la pace armato di casco e bastone e con la divisa da guerriero ninja, la prostituta straniera irregolare che accusa i poliziotti che l’hanno fermata di una violenza sessuale immaginaria per evitare il rimpatrio, il piccolo spacciatore colto in flagrante che cerca a tutti costi lo scontro fisico per passare dal ruolo di accusato a quello di accusatore, l’ultrà che va allo stadio non per vedere la partita ma soltanto per menare le mani, sono tutti avvertiti.